mercoledì 17 giugno 2009

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE !!! ALBERTO PIZANGO CHOTA

Perù:150 indios uccisi perché in rivolta contro le estrazioni di petrolio nella Foresta amazzonica.
Dopo giorni di sanguinosi scontri tra indios dell'Amazzonia e militari, il Parlamento del Perù ha sospeso per 90 giorni la cosidetta "legge sulla foresta", uno dei dieci decreti che favoriscono lo sfruttamento delle risorse naturali nell'area. Le leggi sono state la causa dei violenti scontri di venerdì e sabato a Bagua (nell'Amazzonia) tra gruppi di indigeni e la polizia di Lima, scontri nei quali sono morte molte persone. Gli indios sostengono che le leggi promosse dal presidente Alan Garcia permettono lo sfruttamento selvaggio delle materie prime della foresta, in settori quali gli idrocarburi (petrolio e gas naturale), il legname e le risorse minerarie.Il leader della principale organizzazione di indios del Perù, Alberto Pizango, si e' rifugiato all'ambasciata del Nicaragua a Lima. Pizango, dell'Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep), è ricercato dopo gli scontri.

Alberto Pizango ha il suo nemico proprio in casa, è il gruppo Romero, gigante dell' agrobusiness in Perù, che è riuscito a farsi assegnare dal governo 30.000 ettari di foresta vergine nel territorio della sua parrocchia per disboscare e poi sostituire gli alberi con piante oleose destinate alla produzione di biodiesel. «Una sorta di prova generale verso la distruzione dell' Amazzonia peruviana, per questo siamo stati i primi a muoverci». «Il mondo ha scoperto il Perù in questi giorni, con la strage, ma i nostri fiumi sono già inquinati di petrolio, i nostri bambini hanno piombo e cadmio nel sangue e ogni giorno vedo gli animali morire e fuggire dalla selva in distruzione». Io non credo a una parola di quel che il governo ha raccontato sulla strage di Cagua. «Controllano tutto, i media e le coscienze. Gli indios sono un movimento pacifico, non hanno armi da fuoco e si sono soltanto difesi dalla polizia. Dicono che Alberto Pizango (leader della rivolta) sia sostenuto dalla Bolivia, così buttano tutto in politica, per dire che dietro gli indios ci sono Morales e Chávez». E i poliziotti sgozzati dai manifestanti? «Non è vero niente. I nostri si sono solo difesi. Tutte fandonie, una scusa per imporre all' Amazzonia peruviana lo stato di emergenza e il coprifuoco». Alla storia dello sviluppo, dei posti di lavoro nella foresta che nascerebbero con i nuovi investimenti non credenessuno: «Non si è mai visto. Le regioni dove operano le multinazionali del petrolio e del legno sono quelle con i tassi più alti di miseria, malattie e emarginazione. Il governo sta lavorando d' accordo con gli Stati Uniti per cambiare le nostre leggi, svuotare le norme della Costituzione che parlano di protezione della foresta e dei popoli indigeni».


"L' America e l' Europa sono responsabili del delitto di neocolonialismo, la tragedia di questa gente."

Il conflitto, o almeno questa fase del conflitto, è cominciato il 9 aprile quando le tribù indigene si sono ribellate contro una decina di decreti legislativi che García, forte dei poteri speciali che si era fatto concedere dal Congresso, aveva emanato l'anno scorso in attuazione del Tlc, il trattato di libero commercio, «regalato» agli inizi del 2008 da George W. Bush come tangibile riconoscimento all'«amico» Alan (rimasto l'unico, con il colombiano Uribe, nel Cono sud) lanciatosi in una forsennata politica di apertura neo-liberista. Fra quei decreti ce n'era uno, detto Ley Forestal, che voleva mettere «ordine» nella proprietà delle terre e nelle concessioni dei diritti di sfruttamento delle loro risorse. In realtà, dicevano gli indigeni e qualsiasi persona dotata di un minimo di onestà intellettuale, quella e altre misure erano «incostituzionali» e dovevano servire a spianare la strada alle compagnie straniere per l'acquisto e lo sfruttamento delle terre appartenenti allo stato e alle comunità indigene: in palio colossali profitti su petrolio e gas, oro e rame, il legname, l'agricoltura su larga scala. Con i prevedibili - e già drammaticamente tangibili - danni per la vita delle popolazioni originarie (che in Perú costituiscono circa la metà dei 28 milioni di abitanti) e della decantata biodiversità dell'Amazzonia. In Perú ci sono 65 milioni di ettari di selve, di cui 18 milioni sono in regime di protezione, 45 milioni destinati alla produzione e altri 2 milioni alle riserve. Il decreto in questione, ha detto il deputato Roger Nayar Kokally del Bloque popular, «toglie i 45 milioni di selve destinati alla produzione dal patrimonio forestale nazionale». Cioè diventano «vendibili». A chi è facile immaginare. Lo stesso García, che nella campagna elettorale del 2006 sosteneva con la sua fluente retorica la necessità di guardarsi dai «potenti della terra, delle banche e del denaro che storicamente hanno schiacciato i diritti del popolo», dopo il suo secondo insediamento nella Casa de Pizarro sulla plaza de Armas di Lima ha cambiato radicalmente discorso: bisogna aprire agli investimenti stranieri, a qualsiasi prezzo, per creare ricchezza e poter poi distribuire qualche briciola a quel 50% di peruviani che vivono sono la soglia della povertà. La fallimentare teoria del «trickle down» che tanto piace ai fautori del neo-liberismo. Il Tlc con gli Usa (altri ne sono stati firmati con la Cina, il Giappone e la Corea del sud) se ha aperto le porte del mercato Usa all'entrata senza tariffe doganali dei prodotti peruviani, obbliga il Perú a eliminare i suoi dazi sul 75% dei prodotti industriali e di consumo e eliminare qualsiasi ostacolo all'importazione di prodotti agricoli statunitensi. Quando il 14 dicembre 2007 Bush firmò il Tlc, García disse che «era un gran giorno per il Perú» e che George Dabliu era «un vero alleato e amico del popolo peruviano».
Un discredito accentuatosi ancora con lo scoppio della crisi globale. Questa può essere - oltre alla psicolabilità crescente di García, di cui tutti parlano a Lima - una delle ragioni per cui ha deciso di scatenare esercito e polizia per stroncare la protesta (come fece nell'86 con massacro di 400 detenuti nel carcere di Lurigancho). Il movimento indigeno, finora, era stato pacifico anche se sempre più duro. Tagli di strade e di fiumi, occupazione dei pozzi petroliferi e di terre, sporadici scontri. Continuavano a chiedere l'annullamento dei decreti, il riconoscimento dei loro diritti storici sulle terre comunitarie (di cui, ovviamente, non possiedono i titoli di proprietà individuale), il diritto all'acqua prima che quello del petrolio e del rame, il diritto alla vita. Chiedevano il dialogo con il governo centrale. Ma nessuno li ascoltava. Così a metà maggio si sono dichiarati «en insurgengia» e hanno indurito la protesta. Miguel Palacin Quispe, leader della Caoi, Coordinadora andina de organizaciones indígenas, e Alberto Pizango, leader dell'Aidesep, Asociación interétnica del desarrollo de la selva peruana, hanno proclamato una «giornata nazionale di lotta indigena» per domenica 3 giugno, poi rinviata al 7 luglio per vedere se i negoziati col governo e il dibattito annunciato al Congresso dessero qualche risultato. Il 4 giugno l'ultimo schiaffo: la decisione del Congresso di rinviare il dibattito. García ordinava la repressione. Ora contro Pizango è stato spiccato ordine di cattura anche se il 5 giugno era a Lima e non a Bagua. Però il premier, Yehuda Simon, un passato di sinistra in Izquierda unida e nella Commissione per i diritti umani, 8 anni di carcere per contiguità con il «terrorismo» dell'Mrta, l'aveva detto fin da maggio: «Se ci saranno atti di violenza, responsabili non saranno la polizia o i soldati, e neanche i nativi: solo il signor Pizango e quelli che gli stanno dietro». Ieri ha parlato di «un complotto contro i peruviani». Una storia già letta.

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