giovedì 8 ottobre 2009

Toño ti ricordiamo così

Posted by Picasa
IL SOLE SPLENDA CALDO E MITE PER TE,
NELLA NOTTE PIU' NERA BRILLI QUALCHE STELLA.
LA MATTINA PIU' TETRA TI OFFRA UN PO' DI LUCE.
E QUANDO SCENDERA LA SERA, DIO TI TENDA LA MANO.

lunedì 29 giugno 2009

Violati i principi democratici: colpo di stato in Honduras




HONDURAS

Dalle 17.36 italiane il Presidente Zelaya è in diretta telefonica su Telesur dal Costarica.
LE PARTI PRINCIPALI:
“E’ un complotto delle oligarchie delle forze armate che mi hanno tradito per lasciare il popolo come sta e fermare un processo democratico partecipativo”.
“Hanno sparato, rotto il portone di casa con le baionette, un sequestro brutale”.
“Mi hanno portato alla Forza Aerea, salito su un aereo e portatomi in Costarica”.
“Se gli Stati Uniti non sono dietro il golpe questi non resisteranno neanche 48 ore”.
“Domani parteciperò a Managua a una riunione di tutti i presidenti centroamericani contro il Golpe”.
“Mi vogliono rovesciare perché voglio la democrazia partecipativa”.
“Sento molta pena per il popolo nobile e pacifico dell’Honduras. I golpisti continuano con metodi del secolo passato”.
“Chiedo a tutte le forze progressiste del paese, alla chiesa cattolica che si pronuncino per lasciar parlare il popolo, adesso si sente solo la voce di un gruppo di militari. Faccio un appello al dialogo”.
“Un governo usurpatore non può essere riconosciuto da nessuno”.
“Anche l’ALBA si riunisce domani a Managua”.
“Non c’è maniera di comunicare con il popolo dell’Honduras perché i golpisti hanno interrotto tutti i mezzi di comunicazione”.
“Chiamo il popolo dell’Honduras alla resistenza non violenta al golpe”.
“Un gruppo delle Forze Armate che ha realizzato il golpe è manipolato dall’élite economica che ha il controllo sul parlamento”.
TEGUCIGALPA - Colpo di Stato in Honduras. Il presidente Manuel Zelaya è stato trasferito con la forza in Costa Rica; sua moglie è in un rifugio segreto sulle montagne. Arrestati altri otto ministri, tra cui il capo del dicastero degli Esteri Patricia Rodas allontanata oltre frontiera. "Sequestrati" anche gli ambasciatori di Venezuela, Cuba - poi rilasciato - e Nicaragua nella capitale Tegucigalpa. La città in cui oggi si doveva tenere il referendum per avrebbe permesso al presidente di candidarsi per un secondo mandato, è invasa dai corazzati militari, le comunicazioni con il paese sono quasi impossibili e le trasmissioni radio e tv sono state sospese. Pietre contro i soldati. Un cordone di soldati è schierato attorno al palazzo presidenziale dove un centinaio di sostenitori del presidente con indosso la t-shirt "sì al referendum", manifestano gettando pietre sui soldati e gridando "traditori, traditori". I giudici ispiratori dell'intervento militare. "Siamo stati noi - ammettono i giudici della Corte Suprema di Tegucigalpa - ad ordinare ai militari di agire perchè Zelaya aveva tentato di violare la legge facendo votare un referendum per autorizzare la sua rielezione". Presidente ad interim è stato nominato il presidente del parlamento Roberto Micheletti in attesa delle nuove elezioni indette il prossimo 29 novembre. Zelaya: "Hanno mitragliato la mia casa". Drammatico il resonto del golpe rilasciato dal presidente Zelaya giunto all'aeroporto di San José in Costa Rica: "Quello che ho subito stamane è stato un sequestro compiuto dai militari. Hanno mitragliato la mia casa. La mia guardia d'onore ha opposto resistenza per almeno venti minuti, sono stato svegliato dagli spari e dalle urla. Sono stato portato via in pigiama", ha raccontato Zelaya. I militari, ha aggiunto, sono entrati "sparando, e ho dovuto proteggermi dai colpi: mi hanno minacciato e puntato contro le armi". Zelaya ha concluso il drammatico resoconto con un appello alla comunità internazionale: "Io non mi sono dimesso. Nessuno riconosca gli usurpatori. Difendete l'Honduras".




Chavez: "Pronto ad intervenire con le armi". Il presidente venezuelano Hugo Chavez, vicino politcamente a Zelaya, ha annunciato di aver messo in stato di massima allerta le forze armate e ha minacciato un intervento militare in Honduras se il suo ambasciatore a Tegucigalpa non sarà rilasciato. "Dietro i soldati golpisti si nascondono la borghesia honduregna - ha detto Chavez - i ricchi che hanno trasformato l'Honduras in una repubblica delle banane, in una base politica, militare e terroristica dell'impero nordamericano", ha aggiunto. "Lancio un appello al presidente degli Stati Uniti perché condanni come noi questa aggressione". Obama: "Sono preoccupato". E il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ha espresso "profonda preoccupazione" per l'arresto del presidente dell'Honduras. "Chiedo a tutti gli attori politici e sociali in Honduras di rispettare lo stato di diritto" ha detto il presidente Usa. Anche il segretario di Stato americano ha condannato senza remore il golpe. "Sono stati violati i principi democratici" ha detto Hillary Clinton e l'ambasciatore degli Stati Uniti a Tegucigalpa Hugo Llorens, ha ripetuto convinto che "l'unico presidente che gli Stati Uniti riconoscono nel paese è Zelaya". La Casa Bianca ha respinto però con forza l'accusa di aver avutoun ruolo nel golpe: "Non c'è stato alcun coinvolgimento statunitense in quest'azione", ha riferito un funzionario della presidenza Usa. Scontro Zelaya-esercito. La tensione a Tegucigalpa stava montando da giorni dopo che il presidente Zelaya aveva annunciato un progetto di modifica della Costituzione, sfidando così il potere dell'esercito e del Congresso. Zelaya puntava a cambiare la carta fondamentale per far sì che potesse essere rieletto per più di un singolo mandato di 4 anni. In un'intervista rilasciata qualche giorno fa al quotidiano spagnolo El Pais, Zelaya aveva sostenuto che "un altro tentativo di sottrargli il potere" era stato recentemente respinto dal suo governo solo dopo che gli Stati Uniti si erano rifiutati di sostenere il golpe.

sabato 27 giugno 2009

Settimana del Venezuela a Milano


Milano, si apre il 29 Giugno 2009 con un discorso iniziale del dott. Vidal Falcon console generale della Repubblica Bolivariana, la settimana del Venezuela. Nel'ambito della fiera latinoamericana, questo sarà un importante appuntamento per far conoscere la cultura e la vita di un paese e di un popolo al quale, da quando è governato dal Presidente Chavez non viene dato il giusto riconoscimento. Questo mancato riconoscimento è frutto di pregiudizi e incapacità di comprendere dinamiche sociali che stanno modificando gli assetti geopolitici di tutto il Sud America.
Questi cambiamenti hanno coinvolto paesi Sud Americani come Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Honduras ed ultimamente stanno coinvolgendo il Perù che, con rivendicazioni da parte dei nativi ispirati da questo spirito nuovo che deve molto al presidente Venezuelano, combattono contro lo sfruttamento del territorio ad opera delle multinazionali straniere.
Se un paese perde le sue radici culturali, la sua storia, la sua arte, la sua lingua diventa incapace di creare, e svanisce. Questo è quello che stava succedendo nella Repubblica del Venezuela prima del avvento di Chavez, governata da un gruppo di neoliberalisti borghesi al soldo delle grandi potenze e multinazionali mondiali.






“Settimana del Venezuela”

Artigianato, Arte, Turismo, Cocktail di Ron e tanti assaggi della cultura venezuelana durante tutta la settimana. Al Padiglione delle Nazioni si svolgerà la settimana dedicata al Venezuela con la collaborazione del Consolato Generale del Venezuela

Programma

Artigianato.
Con la collaborazione delle associazioni venezuelane “Ventanas de Venezuela” e “Asociación Bolivariana de Venezuela en Italia” nello spazio dello stand si esporranno dei prodotti tipici venezuelani quali, bambole realizzate artigianalmente, amache, oggetti vari realizzati in argilla, in legno, in bronzo o rame.

Arte.
Esposizione di opere di artisti venezuelani e la Proiezione in loop delle opere audio-visive.
Turismo Proiezione di video turistici promozionali del Venezuela e distribuzione di materiale promozionale e informativo ai visitatori. Gastronomia e Musica (01, 02 e 05 luglio)Verrà offerto ai visitatori un aperitivo venezuelano. Il catering sarà a cura del Signor Antonio Garces, chef del Venezuela.

Cocktail Pampero.
Il Rum Pampero sarà presente l’1 il 2 e il 5 luglio con il proposito di far conoscere oltre che con la degustazione, anche con la proiezione di un video, che nel processo di produzione sono presenti la
tradizione e la storia del Venezuela.




VENEZUELA
Venezuela, paese dai mille volti e terra di contrasti che suscita, con la sua incredibile varietà di paesaggi, emozioni sempre diverse. Esteso e vario, il territorio venezuelano riserva paesaggi e ambienti unici al mondo: la solare costa caraibica fronteggiata dagli arcipelaghi delle Piccole Antille, la regione Guayano-amazzonica con le spettacolari sagome dei tepuyes, l’immensa foresta amazzonica, maestosi fiumi e cascate, le praterie dei llanos che si perdono all’infinito, le valli andine.
A nord, a circa 130 km da Caracas, sorge l’arcipelago di Los Roques, con i suoi 350 isolotti immersi nella spianata di un mare che sfuma dal blu al turchese al verde smeraldo, un’oasi dalla bellezza selvaggia e primitiva con candide spiagge di sabbia madreporica, acque tiepide con trasparenze di cristallo, reef corallini dove nidificano colonie di pellicani, aironi bianchi e gabbiani reali. L’intero arcipelago è Parco Nazionale dal 1972 e solo Gran Roque, l’isola più grande, è abitata: una manciata di casette di pescatori dipinte con i colori solari dei tropici, un paio di bar e una piccola pista di atterraggio. Per i subacquei è un paradiso incontaminato che offre delle meravigliose immersioni in parete o su suggestivi pinnacoli ricchi di variopinte gorgonie e corallo cervello attorno ai quali ruotano coloratissimi pesci pappagallo, barracuda, squali, mante e carangidi. La vita comincia presto, con abbondanti colazioni in posada, per proseguire con le escursioni in barca nelle isole vicine. Grazie a queste giornate di totale relax si avrà la possibilità di prendere il sole, fare dello snorkelling lungo la barriera corallina o provare l’ebbrezza del windsurf. Dopo il rientro a Gran Roque, è possibile passeggiare lungo le viuzze dell’isola dove non ci sono automobili né strade asfaltate per lo shopping nei negozietti ricchi di souvenir. La sera spesso vengono organizzate feste di paese in cui tutti si lanciano nelle danze o più semplicemente si può assaggiare il rum venezuelano nei localini disseminati lungo la via centrale dell’isola.

mercoledì 17 giugno 2009

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE !!! ALBERTO PIZANGO CHOTA

Perù:150 indios uccisi perché in rivolta contro le estrazioni di petrolio nella Foresta amazzonica.
Dopo giorni di sanguinosi scontri tra indios dell'Amazzonia e militari, il Parlamento del Perù ha sospeso per 90 giorni la cosidetta "legge sulla foresta", uno dei dieci decreti che favoriscono lo sfruttamento delle risorse naturali nell'area. Le leggi sono state la causa dei violenti scontri di venerdì e sabato a Bagua (nell'Amazzonia) tra gruppi di indigeni e la polizia di Lima, scontri nei quali sono morte molte persone. Gli indios sostengono che le leggi promosse dal presidente Alan Garcia permettono lo sfruttamento selvaggio delle materie prime della foresta, in settori quali gli idrocarburi (petrolio e gas naturale), il legname e le risorse minerarie.Il leader della principale organizzazione di indios del Perù, Alberto Pizango, si e' rifugiato all'ambasciata del Nicaragua a Lima. Pizango, dell'Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep), è ricercato dopo gli scontri.

Alberto Pizango ha il suo nemico proprio in casa, è il gruppo Romero, gigante dell' agrobusiness in Perù, che è riuscito a farsi assegnare dal governo 30.000 ettari di foresta vergine nel territorio della sua parrocchia per disboscare e poi sostituire gli alberi con piante oleose destinate alla produzione di biodiesel. «Una sorta di prova generale verso la distruzione dell' Amazzonia peruviana, per questo siamo stati i primi a muoverci». «Il mondo ha scoperto il Perù in questi giorni, con la strage, ma i nostri fiumi sono già inquinati di petrolio, i nostri bambini hanno piombo e cadmio nel sangue e ogni giorno vedo gli animali morire e fuggire dalla selva in distruzione». Io non credo a una parola di quel che il governo ha raccontato sulla strage di Cagua. «Controllano tutto, i media e le coscienze. Gli indios sono un movimento pacifico, non hanno armi da fuoco e si sono soltanto difesi dalla polizia. Dicono che Alberto Pizango (leader della rivolta) sia sostenuto dalla Bolivia, così buttano tutto in politica, per dire che dietro gli indios ci sono Morales e Chávez». E i poliziotti sgozzati dai manifestanti? «Non è vero niente. I nostri si sono solo difesi. Tutte fandonie, una scusa per imporre all' Amazzonia peruviana lo stato di emergenza e il coprifuoco». Alla storia dello sviluppo, dei posti di lavoro nella foresta che nascerebbero con i nuovi investimenti non credenessuno: «Non si è mai visto. Le regioni dove operano le multinazionali del petrolio e del legno sono quelle con i tassi più alti di miseria, malattie e emarginazione. Il governo sta lavorando d' accordo con gli Stati Uniti per cambiare le nostre leggi, svuotare le norme della Costituzione che parlano di protezione della foresta e dei popoli indigeni».


"L' America e l' Europa sono responsabili del delitto di neocolonialismo, la tragedia di questa gente."

Il conflitto, o almeno questa fase del conflitto, è cominciato il 9 aprile quando le tribù indigene si sono ribellate contro una decina di decreti legislativi che García, forte dei poteri speciali che si era fatto concedere dal Congresso, aveva emanato l'anno scorso in attuazione del Tlc, il trattato di libero commercio, «regalato» agli inizi del 2008 da George W. Bush come tangibile riconoscimento all'«amico» Alan (rimasto l'unico, con il colombiano Uribe, nel Cono sud) lanciatosi in una forsennata politica di apertura neo-liberista. Fra quei decreti ce n'era uno, detto Ley Forestal, che voleva mettere «ordine» nella proprietà delle terre e nelle concessioni dei diritti di sfruttamento delle loro risorse. In realtà, dicevano gli indigeni e qualsiasi persona dotata di un minimo di onestà intellettuale, quella e altre misure erano «incostituzionali» e dovevano servire a spianare la strada alle compagnie straniere per l'acquisto e lo sfruttamento delle terre appartenenti allo stato e alle comunità indigene: in palio colossali profitti su petrolio e gas, oro e rame, il legname, l'agricoltura su larga scala. Con i prevedibili - e già drammaticamente tangibili - danni per la vita delle popolazioni originarie (che in Perú costituiscono circa la metà dei 28 milioni di abitanti) e della decantata biodiversità dell'Amazzonia. In Perú ci sono 65 milioni di ettari di selve, di cui 18 milioni sono in regime di protezione, 45 milioni destinati alla produzione e altri 2 milioni alle riserve. Il decreto in questione, ha detto il deputato Roger Nayar Kokally del Bloque popular, «toglie i 45 milioni di selve destinati alla produzione dal patrimonio forestale nazionale». Cioè diventano «vendibili». A chi è facile immaginare. Lo stesso García, che nella campagna elettorale del 2006 sosteneva con la sua fluente retorica la necessità di guardarsi dai «potenti della terra, delle banche e del denaro che storicamente hanno schiacciato i diritti del popolo», dopo il suo secondo insediamento nella Casa de Pizarro sulla plaza de Armas di Lima ha cambiato radicalmente discorso: bisogna aprire agli investimenti stranieri, a qualsiasi prezzo, per creare ricchezza e poter poi distribuire qualche briciola a quel 50% di peruviani che vivono sono la soglia della povertà. La fallimentare teoria del «trickle down» che tanto piace ai fautori del neo-liberismo. Il Tlc con gli Usa (altri ne sono stati firmati con la Cina, il Giappone e la Corea del sud) se ha aperto le porte del mercato Usa all'entrata senza tariffe doganali dei prodotti peruviani, obbliga il Perú a eliminare i suoi dazi sul 75% dei prodotti industriali e di consumo e eliminare qualsiasi ostacolo all'importazione di prodotti agricoli statunitensi. Quando il 14 dicembre 2007 Bush firmò il Tlc, García disse che «era un gran giorno per il Perú» e che George Dabliu era «un vero alleato e amico del popolo peruviano».
Un discredito accentuatosi ancora con lo scoppio della crisi globale. Questa può essere - oltre alla psicolabilità crescente di García, di cui tutti parlano a Lima - una delle ragioni per cui ha deciso di scatenare esercito e polizia per stroncare la protesta (come fece nell'86 con massacro di 400 detenuti nel carcere di Lurigancho). Il movimento indigeno, finora, era stato pacifico anche se sempre più duro. Tagli di strade e di fiumi, occupazione dei pozzi petroliferi e di terre, sporadici scontri. Continuavano a chiedere l'annullamento dei decreti, il riconoscimento dei loro diritti storici sulle terre comunitarie (di cui, ovviamente, non possiedono i titoli di proprietà individuale), il diritto all'acqua prima che quello del petrolio e del rame, il diritto alla vita. Chiedevano il dialogo con il governo centrale. Ma nessuno li ascoltava. Così a metà maggio si sono dichiarati «en insurgengia» e hanno indurito la protesta. Miguel Palacin Quispe, leader della Caoi, Coordinadora andina de organizaciones indígenas, e Alberto Pizango, leader dell'Aidesep, Asociación interétnica del desarrollo de la selva peruana, hanno proclamato una «giornata nazionale di lotta indigena» per domenica 3 giugno, poi rinviata al 7 luglio per vedere se i negoziati col governo e il dibattito annunciato al Congresso dessero qualche risultato. Il 4 giugno l'ultimo schiaffo: la decisione del Congresso di rinviare il dibattito. García ordinava la repressione. Ora contro Pizango è stato spiccato ordine di cattura anche se il 5 giugno era a Lima e non a Bagua. Però il premier, Yehuda Simon, un passato di sinistra in Izquierda unida e nella Commissione per i diritti umani, 8 anni di carcere per contiguità con il «terrorismo» dell'Mrta, l'aveva detto fin da maggio: «Se ci saranno atti di violenza, responsabili non saranno la polizia o i soldati, e neanche i nativi: solo il signor Pizango e quelli che gli stanno dietro». Ieri ha parlato di «un complotto contro i peruviani». Una storia già letta.

domenica 31 maggio 2009

Vargas Llosa lo scrittore stupido...



L’ex scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, ha individuato un nuovo bersaglio da colpire: i governi latinoamericani che non hanno alla testa un bianco sarebbero razzisti. Di conseguenza, lo scrive Vargas Llosa sulle pagine del quotidiano conservatore argentino la Nación, è razzista il governo presieduto dall’indio Evo Morales in Bolivia insediatosi questo fine settimana, com’è razzista il governo venezuelano presieduto dal meticcio indio e nero Hugo Chávez e sarà razzista l’eventuale governo presieduto dall’indio peruviano Ollanta Humala, in testa nei sondaggi.
L’argomento forte dell’intellettuale ultraliberale è che la lettura che vede il problema dello sviluppo latinoamericano anche in termini di razzismo delle minoranze creole che hanno sempre governato il continente contro le minoranze native e afroamericane, non sarebbe altra cosa che una forma di razzismo indio di ritorno contro i bianchi.
L’argomento è inconsistente, pretestuoso ed opinabile ma, approfittando della mancanza di memoria o del pregiudizio dei suoi stessi lettori, Vargas Llosa reinterpreta così il conflitto razziale che è parte della storia latinoamericana. "Un latinoamericano tanto più si arricchisce tanto più è bianco, ma se si impoverisce si indianizza" scrive Vargas Llosa e neanche si rende conto del proprio razzismo privato insito in tali affermazioni. Quindi il pregiudizio razziale sarebbe in America Latina soprattutto un pregiudizio socioeconomico. E’ un argomento non privo di senso comune come di demagogia. Ma è un argomento che ricorda quello del partito razzista sudafricano che difendeva l’apartheid come legittima difesa bianca contro il presunto razzismo dei neri.
Quella che usa l’illustre retore peruviano è la nota figura retorica del razzismo ribaltato. Chi, come le classi dirigenti creole latinoamericane, sono sempre state razziste, improvvisamente scoprono, si preoccupano e si indignano per il presunto razzismo di una società che non riconosce più la loro "superiorità razziale", se i rapporti di forza nella società stessa si modificano. Perciò, in società storicamente dominate dalle minoranze bianche, e razziste, sarebbe preoccupantemente razzista qualunque fenomeno politologico che privasse quelle minoranze del potere politico ed economico. Le classi dirigenti di sempre, sempre bianche, scoprirebbero secondo Vargas Llosa il loro meticciato -dopo essersi sbiancate per generazioni più di Michael Jackson- per dimenticare i privilegi dei quali hanno sempre goduto in un ridicolo: "siamo tutti meticci".
Il pregiudizio socioeconomico evocato da Vargas llosa però non spiega il radicale dislivello di reddito e di accesso ad educazione e salute tra bianchi e non bianchi. Soprattutto dimentica il razzismo istituzionale imperante nel continente dove, senza risalire alla schiavitù o alla conquista, fino a pochi anni fa la grande maggioranza india della Bolivia non aveva permesso di entrare nella piazza Murillo, la principale di La Paz -un vero e proprio sistema di apartheid- o per le classi medio/alte antiperoniste argentine il popolo peronista era composto solo da "testoline negre". Il razzismo in America Latina è sempre stato sinonimo del conflitto di classe, ma di questi tempi non è conveniente evocarlo.
Vargas Llosa dunque riscopre l’essenza meticcia d’America (vivaddio!) ma solo per colpire quei governi che si propongono di superare e democratizzare l’accesso al governo offrendolo per la prima volta nella storia a chi ne è stato escluso per 513 anni.
Non è una novità per l’ex scrittore peruviano. Questo, da quando ha esaurito l’ispirazione letteraria, si è riciclato come propagandista in servizio permanente effettivo al servizio della causa di tutti i governi di destra latinoamericani, del Fondo Monetario Internazionale, del neoliberismo più ortodosso e del Partito Repubblicano statunitense.
Vargas Llosa sembra avercela a morte con Evo Morales che definisce "un arrivista furbo come una lucertola con esperienza solo come manipolatore di uomini e donne". A Chávez in questi anni ha dedicato decine di articoli, pieni più di insulti rancorosi che di argomenti politici. Vargas Llosa non si cimenta a spiegare la stranezza del perché mai un madre lingua aymará o quechua non sia mai diventato presidente della Bolivia prima di Evo Morales ma è sicuro che quello di Morales, Chávez, e domani probabilmente di Humala rappresentano: "un nuovo razzismo". Non è neanche interessante per Vargas Llosa spiegare come e perché nell’ultimo quarto di secolo, quello del trionfo del neoliberismo che difende a spada tratta, in Perù e Bolivia -paesi che hanno applicato alla lettera tutti i dogmi neoliberali- l’altezza media della popolazione si è abbassata di 3 cm, sono raddoppiati i bambini che alla nascita pesano meno di due kg e la durata media della vita oramai è più vicina ai 50 che ai 55 anni. L’importante per Vargas Llosa è delegittimare quelle stesse persone, più basse, più denutrite e con un’aspettativa di vita più bassa, nel momento in cui riescono ad esprimere una maggioranza di governo.
Le strumentali accuse di razzismo contro Morales e Chávez seguono di pochi giorni le farneticanti accuse di antisemitismo contro il presidente bolivariano Hugo Chávez, definite come assolutamente inconsistenti da organizzazioni ebraiche sia venezuelane che statunitensi. La crescita di frequenza e virulenza di accuse infondate quanto delegittimanti come quelle di razzismo e antisemitismo contro i governi progressisti latinoamericani è parte di una campagna di stampa tendente alla delegittimazione di questi da parte del governo degli Stati Uniti alla quale scrittori come Vargas Llosa collaborano attivamente.
Il governo degli SU, che più volte ha fatto definire tali governi come "nuovo asse del male latinoamericano" e che ha organizzato e dato il benestare al fallito colpo di stato a Caracas l’11 aprile 2002, orchestra continue campagne di stampa delegittimanti contro i governi progressisti latinoamericani. Sono campagne di stampa riprese con munificità di spazi dalla stampa euroccidentale senza apparato critico, né verifica, né controcanto alcuno. Veline di Washington. Il pretestuoso e diffamante articolo di Vargas Llosa probabilmente in settimana sarà ripreso e tradotto da qualche grande quotidiano italiano. E farà opinione.


giovedì 16 aprile 2009

11 Aprile 2002. Venezuela: IL GOLPE TELEVISIVO




Ieri 15 Aprile a Milano presso la Casa della Cultura si è svolto un incontro promosso dall' associazione culturale Punto Rosso; riguardante il tentato golpe borghese in Venezuela del 11 aprile 2002 e della successiva liberazione del presidente Hugo Chavez.

Presentava il dibattito il dott. Vidal Falcon
(console generale Repubblica Bolivariana del Venezuela di Milano)

intervenuti:
dott.ssa Gladys Urbaneja (Ambasciatrice Repubblica Bolivariana del Venezuela presso la FAO)

José Luiz Del Roio (Associazione Culturale Punto Rosso – presid. Socialismo XXI-Forum Sinistra Europea)
completa l' incontro una proiezione (parziale) del video: La rivoluzione non verrà trasmessa(a cura di una troupe irlandese presente ai fatti, testimonianza diretta del tentato golpe del 11 aprile 2002 e della liberazione del presidente Hugo Chavez).

L'argomento trattato è ormai parte della storia del XXI° secolo, mostrando palesemente come il potere dei media ha svolto un ruolo determinante nel tentato golpe dell' 11 Aprile 2002.
Pedro Francisco Cardamona prese parte, insieme ad un considerabile numero di generali e civili al golpe di Stato anche conosciuto popolarmente appunto come “ el carmonazo”, ai danni del governo democraticamente eletto di Hugo Chávez, l' 11 Aprile del 2002 del. Il giorno seguente assunse l’incarico di “Presidente della Repubblica” dopo aver autoproclamato un “governo di transazione democratica e di unità nazionale”. Di fatto però questo governo, figlio di un colpo di Stato, risultava completamente illegittimo data la mai avvenuta rinuncia dell’incarico da parte di Chávez, rapito ed in mano ai golpisti. Carmona con il suo primo decreto sciolse il Parlamento eletto, destituì tutti gli altri poteri, dichiarò l’abbandono dell’OPEP da parte del Venezuela, ripristinò la vecchia costituzione abbandonando quella del 1999 votata dal popolo, e cambiò il nome della Repubblica Venezuelana cancellandone la parola “Bolivariana”. Tra le prime decisioni di questo governo golpista anche la rinuncia al patto di cooperazione che legava il Venezuela a Cuba. Immediatamente gli USA si affrettarono a riconoscere il nuovo governo, seguiti a breve intervallo dalla Spagna di Aznar, dove il quotidiano El Pais, legato tramite il gruppo “Prinsa” ad alcuni media venezuelani, giustificò il colpo di Stato. In seguito si scoprì anche l’appoggio al golpe e quindi al nuovo governo Carmona anche dell’ Inghilterra di Tony Blair e dell' Israele di Ariel Sharon. I media Venezuelani ebbero anch’essi un ruolo determinante sia nell'organizzazione che nell'esecuzione del golpe e dato che tutti erano convinti della sua definitiva riuscita, si sbilanciarono in interviste, trasmesse su tutte le reti, dove parlavano del lavoro organizzativo dei militari e civili artefici dell'evento, nascondendo però la verità sul golpe di Stato e le proteste popolari in atto in tutto il Venezuela. Il 12 aprile a Caracas infatti cominciarono seri disordini con saccheggi di negozi (soprattutto di quelli considerati appartenenti a lobbies anti-Chávez). Nei giorni 12 e 13 Aprile la polizia uccise più di 200 persone, gli ospedali accolsero centinaia di feriti. La gente, come già accaduto a Caracas circondò anche la base dei paracadutisti del generale Baduel a Maracay chiedendo a gran voce il ritorno di Chávez. Lo stesso avvenne in molte altre località; si calcola che in tre giorni più di sei milioni di persone siano scese per le strade a difendere Chávez ed il suo governo. Nella notte del 13 aprile l'allora vescovo di Caracas, Antonio Ignacio Velasco Garcia, fu inviato all' isola La Orchilla on un jet privato probabilmente di proprietà dei Cisneros, dove avrebbe dovuto convincere Chávez a firmare la rinuncia e partire con lo stesso jet verso una qualsiasi destinazione, forse Cuba. Durante l'incontro arrivarono tre elicotteri per riportare Chávez a Miraflores.
Con il rientro di Chávez, e il suo ritorno al potere il 14 Aprile, gli scontri ed i saccheggi cessarono.


Il golpe fallì, dunque, grazie al vastissimo appoggio popolare ed all'esiguità del gruppo dei militari golpisti, formato soprattutto da alti ufficiali, mentre il grosso dell'esercito era rimasto fedele a Chávez ed alla nuova costituzione. Carmona fu incarcerato e messo agli arresti domiciliari dai quali scappò, rifugiandosi all’ambasciata colombiana, paese nel quale successivamente gli fu concesso asilo politico. Il governo venezuelano non si oppose e permise l’uscita di Carmona dal paese con destinazione Bogotà. Attualmente Pedro Cardamona risiede negli Stati Uniti nella città di Miami in Florida. Oltre alla condanna internazionale di molti paesi, pendono sul governo Carmona molte accuse di violenze e di violazione dei diritti umani, in particolare la violazione della libertà di stampa a causa del silenzio obbligato ad i mezzi di comunicazione solitamente vicini al governo democraticamente eletto di Chávez Carmona ed i suoi seguaci, tanto dentro che fuori dal Venezuela, giustificano il golpe di Stato come prodotto degli assassinii commessi da organismi paramilitari del partito di governo e delle violazioni dei diritti umani dell’amministrazione di Chávez. Questo, secondo la loro tesi, ha provocato un vuoto di potere che ha permesso al golpe di avere luogo per instaurare un governo provvisorio. Carmona godeva tra l’altro dell’appoggio dei partiti d’opposizione, di imprenditori, di molti mezzi di comunicazione privati e di una parte di Chiesa Cattolica. Il golpe è stato riconosciuto poi anti-costituzionale a livello internazionale ed è passato alla storia come il primo colpo di Stato “mediatico”, proprio a causa del fondamentale ruolo avuto dai mezzi d’informazione, che non solo appoggiavano apertamente il golpe, ma che contribuivano anche a diffondere notizie false, censurando le rivolte popolari pro-Chávez e cercando di legittimare agli occhi del Mondo il nuovo governo golpista di cui facevano parte.

martedì 3 marzo 2009

5 Motori del Socialismo Bolivariano


Tutti i motori al massimo per la rivoluzione ... Grazie al socialismo
Le grandi linee di trasformazione del Progetto Nazionale Simón Bolívar in campo politico, sociale, economico, militare e territoriale, internazionale ed etica: cinque principali motori per procedere come una locomotiva vittoriosa.

Hugo Chávez Frías

Tutti i motori al massimo per la rivoluzione ... Percorso di socialismo

PRIMO MOTORE Attivazione di legge: "Il primo dei cinque motori costituente è una legge di leggi rivoluzionarie, madre di leggi: la legge delega".
"Questa legge è che l'Assemblea nazionale ha autorizzato il Presidente del Consiglio dei ministri, e le procedure descritte nella Costituzione, l'emissione di decreto-legge".

SECONDO MOTORE Riforma costituzionale: Stato di diritto socialista socialista
"Il secondo conducente, il socialista riforma costituzionale".
"Abbiamo intitolato alla Repubblica socialista del Venezuela e che richiede una profonda riforma della Costituzione".
"La Costituzione (attuale) ci presenta un primo piano per la costruzione del socialismo, ma per passare a una maggiore portata e dimensione, che richiede una serie di riforme".

TERZO MOTORE Educazione Istruzione con valori.
"Il terzo componente rilevante del motore è ciò che abbiamo chiamato la" Nazionale Gran Moral y Luces ".
"L'istruzione non ha nulla a che fare con lo studio di un argomento specifico o il sesto grado, è molto di più, questi sono i valori, la cultura e la solidarietà. Una rivoluzione etica, così mi prendo la frase importante Bolivar nel Angostura: Moral y Luces sono i poli di una repubblica. "

QUARTO MOTORE La nuova Geometria del Potere: Il riordino socialista geopolitico della nazione "Il quarto motore, ha a che fare con una nuova geometria del potere".
"Il quarto motore rivoluzionario socialista del progetto ha a che fare con (così ho chiamato) la nuova geometria del potere. La geometria si misura su tre fattori: la distanza, la lunghezza e il volume o il contenuto (analisi dei bisogni) sul territorio, come il potere politico è distribuito, sociali, economici, militari e di come dovrebbe essere?. Questo è un tema su cui io definisco una speciale attenzione ".

QUINTO MOTORE esplosione comunale di Potenza: Democrazia! protagonista, rivoluzionario e socialista!
"Il quinto motore, esplosione rivoluzionaria del potere comunale."
"Questo motore del progetto socialista bolivariana ha la più grande forza. Ma questa esplosione, creatore del potere comunale dipende per il suo sviluppo e il successo (il successo degli altri quattro motori). Dipenderà dalla legislazione (in un buon modo), la riforma della Costituzione, la Giornata Nazionale del Moral y Luces, la nuova geometria del potere e di altri fattori. Ecco perché è urgente che (assumiamo il compito) immediatamente. "

Fonti:

Estratti dagli interventi del Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chávez Frías, da http://www.mci.gob.ve/

Nulla ferma la rivoluzione!